Spiriti sull’Alta Via: la lezione del capriolo

Capriolo in una radura di bosco sull’Alta Via.

cara *,
in questo breve testo che ti indirizzo sotto forma di lettera, intendo tornare sul tema più volte sfiorato della nascita della scrittura poetica o dell’incontro con essa. Lo farò partendo da un dato non letterario e, per questo, forse più convincente, anche se già qui, scrivendoti, mi troverò a mettere in pratica alcuni espedienti di cui tratto. Arginerò sul nascere qualsiasi vorticosa associazione di parole, suggerite dall’innesco di una metrica.
Da più di un anno, studio la vita del bosco in mia assenza, disseminando, nei suoi più remoti recessi, piccole telecamere dotate di microfono, in grado di attivarsi da sole al primo movimento. Tralasciando ulteriori dettagli tecnici, questa attività mi si è presentata subito estremamente affine alla scrittura. Anzitutto, la scelta del punto di osservazione. Solitamente ricade sulla base di un faggio o di un castagno, meglio se ai bordi di una piccola radura sgombra. Anche se l’incontro con una creatura è sempre legato a un caso fortunato, mi è di aiuto immaginare cosa potrebbe accadere in un posto e non un altro. Muovendomi tra gli alberi, ho imparato a scegliere i luoghi in cui, se fossi animale, mi sentirei al sicuro a fermarmi o a passare. Non si tratta di coltivare fantasie romantiche di caprioli nel chiarore dell’alba, o di lepri che preferiscono la cavità più liscia ai piedi della betulla rispetto a quella legnosa del castagno, ma di istinto. Capita, infatti, che le tracce sulla neve o nel fango segnino solo attraversamenti fortuiti, mai più ripetuti.
A questa prima fase, segue l’allontanamento e l’assenza dalla zona prescelta per diverse settimane. Ho notato che, nei giorni immediatamente successivi alla mia visita, non c’è transito di animali, poi, poco alla volta, quasi riprendessero confidenza al dileguarsi dell’elemento umano, si osserva un cauto ritorno alla normalità, con il consueto traffico di creature.
Devi sapere che ogni territorio ha i suoi abitanti, alcuni estremamente metodici. Come in città, se ti siedi ai margini di una piazza, noti il pensionato che, ogni giorno, alla stessa ora, passa dall’edicola, o lo studente che aspetta l’autobus, o la ragazza che porta a spasso il cane, così è pressappoco nel bosco: una coppia di caprioli esplora il fondo tra due castagni sempre verso mezzanotte; la volpe torna a bere nella pozza e lascia la sua traccia orinando sulla pietra poco lontano; il tasso viene da sinistra perlustrando il sentiero e riscende sul pendio di destra un paio d’ore prima dell’alba e via dicendo. Un po’ per affetto e un po’ per gioco col bambino che ero, ho iniziato a dare un nome alle varie zone del bosco, fondando la mia città invisibile, in cui si trovano il quartiere dei cinghiali, il viale della lepre, la piazzetta delle betulle e dei caprioli, lo slargo dei castagni. Pure certi alberi, particolarmente imponenti, si pongono come architetture a sé, o sculture di legno, o guglie issate nell’azzurro dei cieli, veri e propri punti cardinali nei giorni di nebbia.
Passate diverse settimane, torno a recuperare i dati, a cambiare le batterie e a valutare la bontà di ogni zona scelta. Da luglio, ad esempio, ho una telecamera fissa in un punto in cui confluiscono, su una piccola radura, i solchi dai fianchi della montagna a formare un acquitrino perenne. Lì ho incontrato il cinghiale, due specie di picchio, il gufo, la lepre, il capriolo, il tasso, la volpe, la beccaccia e persino il piccione.
La sera, riguardo con cura i filmati, prestando attenzione ai suoni, che racchiudono altre storie di ciò che è accaduto, non visto, intorno. Il vivo della vicenda inquadrata si esaurisce spesso in una manciata di fotogrammi e tutto continua altrove, nel racconto dei rumori. Un capriolo, durante una nevicata, si è diretto senza indugi ai piedi di un castagno lontano e se ne sentivano distintamente i passi. Un picchio, una mattina di gennaio, si è lavato in una conca d’acqua tra le foglie, poi è volato a beccare sopra un tronco fuori campo. Un’altra notte di temporale, invece, un lampo ha messo in fuga un gruppo di cinghiali che si stavano rotolando nel fango. Per il resto del tempo, il microfono ha registrato le loro urla, disseminate tra i faggi, a ogni rantolo di tuono.
Il bosco si avvera così, meditando se stesso. Bisogna sapersi nascondere bene, però, per scoprirlo. Ho l’impressione che avvicinarsi alla parola richieda una forma analoga di assenza, non tanto da sé, ma dalla parola stessa.
Ho imparato una lezione dalla delicatezza del passo del capriolo. Dalla sua precisione nel porre una zampa davanti all’altra, sembra che tema di spostare o calpestare le foglie su cui cammina. Una volta, nella neve, ho visto una piccola foglia sola e, accanto, la sua impronta, quasi l’avesse scansata.
Del capriolo si coglie il passo ovattato se la neve è fresca, lo scricchiolio leggero se è appena un po’ più ghiacciata, o il fruscio lungo solchi colmi di foglie. Quasi vola sfiorando terra. Questo dovrebbe essere scrivere: catturare quel soffio di parole appena sfiorate senza farle cadere e consegnarlo al proprio verso, oppure depositarle piano ai piedi dell’albero di cui è ramo.
Ti abbraccio.

Madonna della neve, 20 gennaio 2022.

Lettera: Roma, 2 maggio 2020

Caro *,
nelle ultime lettere tocchi temi delicati per chi ha la fortuna o la sfrontatezza di pubblicare libri: la questione generazionale nei rapporti tra gli scrittori, l’equidistanza dagli esponenti della critica militante, il ruolo dei giornalisti e dei lettori cosiddetti forti.
Dal tuo racconto, affiora un fondo di amarezza per gli scarsi riscontri delle tue pubblicazioni e un certo risentimento – permettimi di essere sincero e di usare questo termine con te – per gli apprezzamenti che ricevi solo privatamente e che di rado si traducono in una pubblica dichiarazione di stima.
Non cercherò di consolarti, ma proverò a dare un taglio diverso a questa prospettiva, di modo che tu possa giungere a personale conclusione.
Il primo punto mi pare il più semplice da liquidare. Se ti guardi attorno, noterai che, raramente, persone di generazioni diverse gradiscono reciproca e disinteressata compagnia: la badante trentenne accompagna una persona avanti negli anni; il professore sessantenne è circondato dai propri allievi dopo una lezione, o prima di un esame.
Sono luoghi talmente comuni che si danno per scontati.
Difficilmente ci sarà un’amicizia pura in grado di rinsaldare le generazioni, perché l’una scalza l’altra, come deve.
Perché, dunque, ti stupisci di essere escluso, non ancora trentenne, dai progetti dei ventenni? Potresti, se già non ti sei fatto terra bruciata intorno, guardare a opportunità analoghe organizzate per i tuoi coetanei. Se non hai abbastanza autorità per fare da guida ai più giovani, cerca almeno di disciplinarti nel gregge di chi, più accorto e adulto, saprà condurti per giusta via.
Dovresti allenarti a essere sodale di quelli che chiami nemici.
Dagli stolti, ti guardi la stoltezza che bene sai dissimulare.
Più articolata è la questione dei rapporti con critici e giornalisti. In questi anni, mi hai raccontato spesso di come *, ** e *** si siano espressi favorevolmente, nella vostra corrispondenza, sui tuoi lavori. Il fatto che, alla richiesta di una recensione, o di una “parola buona” (insomma: di una raccomandazione!) presso l’importante editore che li pubblica, si siano defilati accampando scuse, o smettendo addirittura di scriverti, dovresti giudicarlo come prova della loro integrità e onestà intellettuale.
Una recensione favorevole, così come una stroncatura, presuppongono che il tuo lavoro abbia raggiunto un livello di organica maturità tale da renderne sensata l’analisi. Noterai, infatti, che sono piuttosto rare, quando non assenti, le recensioni di opere prime, mentre piuttosto frequenti sono le stroncature di autori, anche titolati, messi in guardia da critici o colleghi contro vizi e storture che, se assunti a paradigmi stilistici, decreterebbero la morte per aridità di quelle stesse scritture. Quante volte, leggendo le osservazioni di * su ** ti sarai detto: ecco! questo gli permetterà di recuperare, alla prossima occasione, il tratto fresco e originale che lo ha sempre contraddistinto!
Toccherà forse un giorno anche a te, ma devi pazientare: non hai neppure trent’anni e, a quell’età, solo gli scrittori che poi hanno fatto un’epoca hanno ricevuto le giuste attenzioni della critica.
Stesso discorso riguarda il passaggio dai piccoli e volenterosi editori, per i quali sinora hai dignitosamente pubblicato, ad altri più grandi e corazzati. Non si passa da un livello al successivo che per merito e per capacità di interpretare il progetto che ogni collana chiaramente sottende. Nessun editore vende cultura al mercato dei libri, perché ogni editore fa cultura e il catalogo è espressione del canone in cui crede e nel quale si riversa tutto intero.
A volte, può sembrare che basti un po’ di malizia e di talento per essere accolti, ma è una semplificazione rischiosa, così come pretendere di farsi largo in forza di una propria, vera o presunta, marginalità e per quella cercare appigli. Se, viceversa, è per altra via meschina che intendi incamminarti, ricorda di tacere sempre i nomi dei tuoi antenati, ma di allineare in bella vista padri e padrini, agguerriti, trapassati o vivi.
Onestamente, da amico, pur trovando un certo guizzo nelle pagine che mi hai mandato, a quale editore interesserebbe oggi un libro in cui, con chiara enfasi traslata e metaforica e metafisica, accomuni l’ordine che regna tra gli arbusti a quello sociale? In cui ogni radice ha voce e conosce al microgrammo le sostanze sciolte nel pietrisco in cui affonda.
Oggi non è tempo per il gesto antico del gabbiano che solleva l’ala sullo scoglio e prende il vento.
Non sentirti oppresso: nessuno cerca mai altrove che in se stesso.
Ti abbraccio
F.

Lettera: Leipzig, 4 novembre 2018

Caro *,
il problema che sollevi intorno alla solidità delle diverse proposte di canone, quindi all’oggettività della critica in sé, mi ha spinto in passato a più approfondite indagini e riflessioni. Alla fine, ho maturato la convinzione di trovarmi di fronte a una questione mal posta in quei termini, almeno nella misura in cui premesse diverse di sistemi critici diversi, necessarie a oggettivarli, venivano scagliate, più che confrontate, contro qualsiasi posizione in disaccordo, quasi a rivendicare l’indiscutibile superiorità del singolo gruppo sugli altri. Non mi riferisco, naturalmente, all’attività occasionale o di “basso profilo” che talvolta accompagna la singola opera, utile, perlopiù, a incoraggiare l’autore insicuro e ad aggirare la diffidenza del lettore.
Se la ricerca di un’oggettività sembra scientificamente basarsi sulla capacità di coordinare tra loro giudizi e dati di fatto (vedi l’impostazione di Schlick, ma non solo…), in ambito letterario ho notato Continue reading “Lettera: Leipzig, 4 novembre 2018”

Da “Per innata difesa (variazioni sul tema dell’umore)” – 12.11.2004


[…] i movimenti di scena ingannano l’attesa, sono l’illusione di una storia quasi pronta, o già in pieno svolgimento. Tutto potrebbe svelarsi di colpo, nel frastuono di un soppalco, nello squarcio di un telone. Assisto alla farsa del muro abbattuto da risollevare, del tubo da interrare. Se solo scavassero qualche centimetro in più nel pavimento, emergerebbe il dente d’oro di un Doria in cucina e l’anello di un Doge sotto il letto: la storia ha le mani bucate.
Corre anche il fanciullo che tiene in pugno il mare, per farne dono alla madre, ma le dita non si stringono abbastanza e alla madre porgerà le mani vuote da consolare.
Questo accade, in una casa martoriata dalla storia. […]

Da Per innata difesa (variazioni sul tema dell’umore) in Quattro Quarti di Antonio Diavoli, disponibile in tutte le librerie su ordinazione e su internet presso i principali rivenditori: barnes&noble | amazon.it | .com | .de | .es | .uk

Da “Per innata difesa (variazioni sul tema dell’umore)” – 03.11.2004


[…] Da microscopista, nella fitta tenebra del laboratorio al terzo piano, ho avuto spesso la sensazione di stare nella pancia di un grande pesce luna cieco, addormentato, o alla consolle di un sommergibile appoggiato sul fondale di una fossa, schiacciato da tonnellate d’acqua senza luce. Da dietro il periscopio, ho sperato spesso di intercettare il guizzo di un dio, o il salto di un diavolo nel buio, di vederlo spiccare sulla magra fluorescenza di un’alga, o nel palpito assetato delle ciglia di un paramecio. Ovunque abbia diretto la mia ricerca, però, ho colto solo gli artefatti delle mie protesi di vetro, i rumori elettrici, i fotoni persi a qualsiasi luce terrestre. È anche per questo che, dopo un paio d’anni, ho deciso di non proseguire il dottorato. […]

Da Per innata difesa (variazioni sul tema dell’umore) in Quattro Quarti di Antonio Diavoli, disponibile in tutte le librerie su ordinazione e su internet presso i principali rivenditori: barnes&noble | amazon.it | .com | .de | .es | .uk

Lettera: Genova, 8 dicembre 2006

Caro *,
eccoti gli undici estratti che avevo promesso a *, unitamente a una bozza di copertina.
Al momento non esistono ipotesi definite di pubblicazione in volume, solo un’intenzione e una promessa. A libro ultimato, credo si conteranno una sessantina di prose brevi senza titolo, seguite da un appunto conclusivo. Per la copertina, avevo inizialmente pensato alla foto scura di una ballerina, nell’atto di liberarsi dagli ingranaggi di un carillon, ma temevo di sovrapporre al testo un simbolo imperfetto e non combaciante. La figura della splendida signorina che ti invio, forse colta in una Parigi d’inizio Novecento, accompagnerà meglio, con la sua dolcezza, queste prime pagine, come fossero a lei dedicate. Del resto, i visi dei vivi si ritrovano, per conoscenza più profonda, in quelli dei morti: sono pochi quelli che restano, alla radice del cuore, soli.
Ti lascio alcune considerazioni conclusive, che potrebbero esserti d’aiuto nella stesura del testo per la rivista. Queste prose strette, come forse è giusto chiamarle, per non dire prose tout court, essendo in fondo poesie dal metro più libero e dialogato, sono state davvero, in origine, lettere e come tali spedite e lette. L’ordine in cui sono qui presentate è verosimilmente cronologico, anche se, tra l’una e l’altra, ho dovuto omettere alcuni testi, per rispettare la consegna degli undici richiesti. Mi accorsi che queste pagine non si limitavano solo a un rapporto epistolare, dopo la lettura di opere enigmatiche quali Cose o Bestie di Federigo Tozzi e la visione dei documentari di Vittorio De Seta e Luigi Di Gianni, esempi altissimi di un naturalismo visionario occulto e minore. Mi pareva di scorgere in loro una dimensione poetica scorticata, mondata da ogni trama, eppure ancora non pienamente sciolta da ogni vincolo con la vita. Tentai così di riordinare queste lettere nella forma che ora leggi, con la speranza di non sottrarre troppo della loro fresca ispirazione.
Un abbraccio e un ringraziamento per ciò che farai, quando avrai tempo.
Spero di riuscire un giorno a ricambiare la tua gentilezza.
Federico

Stuttgart, 2 novembre 2017

Caro *,
torno a scriverti dopo diversi anni su temi che tante volte abbiamo sfiorato o affrontato nelle nostre conversazioni: la sottrazione del soggetto e l’irruzione della realtà in tanta produzione poetica contemporanea. Siamo spesso inciampati in una infinità di equivoci intorno a questi punti e spero di non aggiungerne di nuovi con questo scritto.
Se penso che il nocciolo stesso della questione è racchiuso in una parola che nella propria radice ha quella di cosa (re-s), dunque di fatto non ben precisato ma indubitabilmente esistente, mi sento ricacciato al punto di partenza, a manipolare una pietra ben levigata, priva di connotati particolari, di venature o sfumature nel colore che ne suggeriscano composizione e provenienza. Eppure, di fronte a una parola che sembra racchiudere tutto per escluderci, qualcuno ha superficialmente e definitivamente liquidato l’uso del termine cosa, accampando teorie tanto diversificate da mettere in discussione la pretesa scientificità della propria analisi. Del resto, la critica di qualsiasi concetto, in qualsiasi campo, richiede, perché sia feconda, che l’idea in oggetto sia compresa a fondo in tutte le sue parti. Diversamente, si rischia d’imbastire un discorso sulla futura forma, altezza e fertilità di un albero adulto, ragionando sul seme o su un germoglio, ignorando tutte le avversità (o i casi favorevoli) che incontrerà nel suo sviluppo. Sono per questo convinto che tanto l’autorità dell’artista più appartato, quanto della corrente più in voga, vada sì cercata nei motivi che l’hanno spinta a fondarsi tale e quale è, ma che tali principi non ne costituiscono la teoria, non ne inquadrano pienamente gli sviluppi, ma ne sono i germi. Continue reading “Stuttgart, 2 novembre 2017”

Lettera: Chianale, 21 Febbraio 2015

Caro *,
oggi ho finalmente posto fine ad anni di fatica intorno a un testo. A breve, ne stamperò una bozza da inviarti, perché tu veda quanto impegno sia costato scriverlo, nella speranza sempre di raggiungere, con l’esattezza della forma, un contenuto di “verità”.
Le poesie, raggruppate ora in due sequenze, sono quasi tutti quelle di partenza, con parecchie ricomposizioni interne però e smottamenti da una parte all’altra, o rimozioni di strofe intere.
È un paesaggio carsico, quello che si offre al peso della scrittura, puntellato da ossessioni, scavato in certi punti più che in altri, nella frenetica ostinazione di seguire, attraverso il ventre della montagna, una vena, Continue reading “Lettera: Chianale, 21 Febbraio 2015”

28 Agosto 2014, Appunti da una gita sull’Appennino

Cara *,
nel fuori campo di Bergman, ho scoperto un’altra ossessione, un suono nuovo, che d’ora in poi me lo farà per sempre ricordare, come in Fellini il vento: la sirena di una nave al porto, quando attracca o salpa.
Per le stesse ragioni, credo, il fischio del treno, un attimo prima di entrare in galleria (o uscirne), quel pianto di nascita o scomparsa nella dissolvenza di una montagna, Continue reading “28 Agosto 2014, Appunti da una gita sull’Appennino”

22 Aprile 2014: Lettera da una casa in collina

Caro *,
forse è affiorato nei miei scritti quel substrato misterioso che per anni li ha nutriti, è diventato insomma materia stessa dei versi, si è mescolato al gioco dei significanti, staccandosi da quel margine di riflessione teorica, spesso a carattere epistolare, cui l’avevo relegato.
Questo non significa, naturalmente, aver sostituito la Letteratura con una fenomenologia della Letteratura, in cui il testo è terreno di prova per le sue stesse cause, effetto di un pre-testo ben più interessante, nel quale si annida il vero oggetto del discorso. Piuttosto, tendo a non rimuovere più dai versi gli indizi e le occasioni che li hanno rivelati, lasciandoli lì nudi, accanto a forme ben più liriche fiorite in essi, nelle quali la parola segue ancora le impercettibili increspature del discorso, per farsi forza e poesia e passare oltre.
Troverai certo alcuni tratti sorprendenti, Continue reading “22 Aprile 2014: Lettera da una casa in collina”