archivio apocalittico farsesco (lascivo, semiserio, chimerico ecc.) (lùmina, 7)

le terze pagine e le prime

crollano giù titoli e mercati
ribattono caratteri inchiostrati
i rulli delle rotative, nomi,
altisonanti numeri, figuri
e scartabelli i cubitali stralci:

l’oro nero e gli oli e le materie
prime in euro-dollari il barile
decantano in un peso astratto
attratti incalcolabili allo zero
prossimo del cambio regrediscono
i valori alle valute forti
gli interessi estorti con fiorite
clausole ad usura
codicilli commi

una specie d’unto nero
di catrame all’unghia
sporca la grafia sgraziata
che raggruma annali
di repliche e racconti
dibattuti a cifre d’abachi
infilzate male agli apici dei grafi

tra oscillanti cumuli
di screzi di quartili
e % ghiribizzi di quattrini
zero-virgola sussulta
l’indice DJ alla Borsa
fai-da-te for dummies
fatturati e rese a picco
molti punti percentuale
in calo langue il Nasdaq
dà l’allarme il Wall Street Journal

– duole nella scarpa stretta
pure l’alluce fa sangue,
gonfia, zoppica sui tacchi,
tra le ceste 1Є al chilo
del mercato della frutta,
una donna, bilanciando
tra le spalle male
le due sporte piene

defilati in trafiletti rosa o neri
ammiccanti occhielli
dai fonemi più vivaci

le fialette e gli amuleti
astrali aneliti i mutismi
piuccheperfetti dei fantasmi
gli ornati attenti dei ragni
tra i refoli e i refusi
i sempreverdi rampicanti
sempiterni idiomi diamantiferi
d’accatto i colpi inferti a vuoto
sui cadaveri insultati dalla luce
i dissonanti inferi di guerra
scoppi spots postbellici
proficui dazibao fotocopiati
post-it con le intemperanze
d’operai di scioperi di treni
mal partiti e d’orbitali monitor
satelliti orbitanti e cavi terrestri
tracciati digitali piaghe coliche
solchi barche di migranti a fondo
e reti a strascico di frodo
biciclette svelte su ciclabili
nei parchi stupri incesti cresime
e battesimi necrologici consumi
shock nervosi rochi osanna
e reliquiari in cellophane prezzati
lecca-lecca di massaggi e fiche rase
sederini tesi tondi cari punte
grifi code cinte becchi cazzi
retti alle posture più bislacche
seni frusti e naturali quinte
sventurate puttanelle al gioco
petites filles a pas de loup
cieco vincolo in viltà virili
rovinose muse lascive febbri
logoranti miasmi dalle crepe
interne nelle rilucenti stanze
ai lampi alla parete verde
sulle porte lische ed ossi
rosicchiati da due gatti
gli spaghetti non conditi
l’ipo-potamo sub-acqueo
e le ruminanti l’erba astratte
mucche hippie l’happy
cow on the milky way
e sgominata anche la morte
senz’aggravi d’ansia
– abortiva pillola antirughe
di rugiada sperma o derma
nel suo termine sottile
non fa differenza
in un deficit d’anglismi
un surplus di merci e simulacra
poche calorie prodotte
non-plus-ultra


Archivio apocalittico, farsesco ecc., extended lùmina critical edition, LN 2017, ISBN 978-0244939878 [It]
buy: amazon.it • listen: podcast • watch: YouTube

17 thoughts on “archivio apocalittico farsesco (lascivo, semiserio, chimerico ecc.) (lùmina, 7)

  1. mi sembra un discreto sabba di “prurigginosi cibi”, come direbbe Parini, e cresce la voglia di esperirlo per intero. poi l’idea 2012 è mica male, Federici a Roma come Woland a Mosca!

    (sulla dizione, effettivamente qui complessa, non mi pronuncio per conclamata deficienza mia in materia… ma son certo che riuscirai a trovare il timbro e il ritmo giusto)

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  2. Quest’ultima settimana mi sono alzato tutti i giorni alle 5 (anziché alle 6) per provare la lettura di questo testo: avrò inciso una ventina di file, tutti cancellati: non riesco a trovare una intonazione o addirittura a tenere il fiato per tutta la seconda parte. Perciò non ho pubblicato nessun audio. Ho anche tentato di pomeriggio, con la finestra aperta sul traffico, ma il rumore non era quello giusto. Riproverò. L’assenza di punteggiatura nel magma del corpo ha questo senso: ciascuno raggruppi le parole in una unica emissione ritmica come meglio crede, trovi diverse associazioni significanti. Ecco, potevo forse escludere anche le virgole nella prima parte e colare tutto senza riferimenti, ma sarebbe forse stato troppo. L’archivio è una vibrazione elettrica continua: come ha scritto Rossi nella nota conclusiva, si tratta di più di un patch del contemporaneo, è un tentativo di fare il Rotella al contrario: non strappare, ma cucire assieme stratificazioni diverse. Si passa da un’ode agli uccelli preistorici a un esorcismo in cui è il diavolo a esorcizzare il prete, dalla tenerezza di un reduce ai margini di un bosco alle puttane di un bordello di Munich, dalla borsa valori a un pompino in auto, da un addio alla teoria delle stringhe e via dicendo. L’archivio mi dà libertà di organizzazione del materiale, l’apocalissi e la farsa compattano il grottesco. C’è un testo quasi mistico, cui sono molto legato ed è riconoscibilissimo, in tema di parola/linguaggio. Visto che siamo all’apocalissi, potrei chiedere ad Andrea di presentarlo nel 2012, la notte della fine del mondo. Che sollievo… ma sarebbe anche troppo lontano. Voglio finire i libri, prima del mondo, eh!

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  3. stando a questo testo, e nonostante l’archivio e le rubriche “lascivo, semiserio, chimerico”, direi che è un mezzo miracolo essere riuscito a farne risuonare così tante, e in tanto forte promiscuità, di quelle parole e parole-situazione che solitamente imbarazzano i poeti: senza, dico, aver con ciò ceduto alla logica del giocattolino poetico (appunto, alla dimostrazione pretestuale senza conseguenze) o alla contiguità a-direzionale del catalogo (un archivio è del resto cosa diversa da un catalogo). voglio dire che, nonostante l’asfissia “mimetica” e il caos compatto, senza buchi, pesa su questi versi (non so come) tanto silenzio, forse un contrappasso etico insinuato da una posizione, quella della voce che qui enumera e dice, non equivocabile.

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  4. Penso che Andrea sia tornato il 15 – così mi aveva detto in un sms la settimana scorsa. Credo che il suo viaggio sia dovuto al progetto che da qualche settimana compare sul sito della Camera.
    Sia quel che sia il libro c’è ed è bene che ora mi dedichi ad altre scritture che ho in sospeso. Con “lùmina” ho sentito il bisogno (anche) di giocare con le parole, di usare quelle che mai avevo usato, per farle risuonare, provarle. Ed è così, Fabio: un testo non smette mai di essere interrogato, né di interrogarti.

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  5. caro Federico, forse non ha risposto temendo di doverle riaprire le bozze! scherzi a parte, non so se La camera verde sia precisamente in attività in questi giorni – mi è sembrato di capire, da alcuni amici, che Andrea sia (o sia stato) spesso a Tuscania ultimamente, per vari progetti e attività che ignoro. ma spero anch’io che il libro si faccia quanto prima, anche, appunto, per incontrarci una volta di persona quando si tratterà di presentarlo.

    quell’ansia è peso, e credo non tutti gli autori, i poeti, lo portino o lo avvertano in modo così radicale. credo anche, però, che il “frutto suo” si senta, eccome: una poesia non pretestuale è un corpo interrogato, anche con tortura, che però interroga, dopo, non smette di domandare…

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  6. ottima la tua analisi, ottima come sempre, Fabio. spero che a Roma, in Camera Verde ci incontreremo quando verrò per leggere.
    è vero, tagliando quella parte perderei la vertigine tra il mercato di Wall Street e quello della Frutta, smorzerei l’ironia. è un tormento, il mio, che mi porto appresso anche quando dipingo e riesco a distruggere un quadro perché tento di trasformare una macchia in una figura o viceversa. due settimane fa ho “cancellato” un bel quadretto proprio per l’ansia di definire meglio un’ombra in cespuglio e la magia è smarrita. è come mettere le mani nell’acqua per catturare il riflesso d’argento di un pesce e il pesce sfugge, non c’è più né la carne, né la magia del suo riflesso. farò così, come tante volte: mi affido a una certa dote di fatalismo che mi ha portato sino a Gians. Ieri gli ho mandato un sms, verso quest’ora chiedendogli se erano già chiuse le bozze. non mi ha risposto. quindi vuol dire che, quale che sia la ragione per cui non mi ha risposto, il testo “rifiuta” la mia correzione. e sia.
    essere sul filo del destino rende innocente anche la morte, figurati un pugno di versi.

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  7. non so; io ho trovato lo scalino (o baratro) tra le due lasse vertiginoso, perfetto: dopo l’astrazione, diciamo così, borsistica e dell’indice Nasdaq e l’immagine altrettanto imprendibile (questa per l’immediato annesso della riproduzione, della tiratura, delle migliaia e migliaia copie quasi in viaggio) del Wall Street Journal – ho trovato, dicevo, impressionante quella contrazione improvvisa sul punctum, sul dito che “fa sangue”, chiuso in una scarpa, che da lì va a risalire (ma piano, con misura questa volta progressiva, forse “umana”, verso le “ceste” e la fatica di un altro “mercato” – misura umana subito smentita e ritradotta in fantasma e dismisura nei versi seguenti).

    la lassa precedente invece (“una specie d’unto nero”) è forse (forse) appena meno necessaria nell’economia complessiva del testo (parlo però dopo una lettura non certo analitica). ad ogni modo quella “grafia sgraziata / che raggruma annali / di repliche e racconti” non la perderei o sacrificherei per nessuna ragione.

    certo, queste sono idee mie, e capisco il “desiderio infinito” d’intervento, di asintotica approssimazione che si può nutrire verso un testo o un’opera nella sua interezza. penso spesso a Campana che apporta modifiche a penna sulle copie della prima edizione dei Canti orfici… è un tormento, (nobile, se pensiamo a quanta roba venga data in pasto alla stampa senza il minimo controllo, la minima necessità) ma pur sempre un tormento. forse bisogna intercettare, con qualche crudeltà, il momento in cui un testo smette di appartenerci: e allora abbandonarlo all’altro, agli altri, ossia lasciarlo vivere, come un figlio, dismettendo la nostra pretesa di controllo…

    ma tra il dire e il fare…

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  8. scorcerei questo, per la stessa ragione:
    una specie d’unto nero
    di catrame all’unghia
    sporca la grafia sgraziata
    che raggruma annali
    di repliche e racconti
    dibattuti a cifre d’abachi
    infilzate male agli apici dei grafi

    e toglierei altrove una minima parola. ecco allora mi sembrerebbe perfetta.

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  9. questo toglierei:
    – duole nella scarpa stretta
    pure l’alluce fa sangue,
    gonfia, zoppica sui tacchi,
    tra le ceste 1Є al chilo
    del mercato della frutta,
    una donna, bilanciando
    tra le spalle male
    le due sporte piene

    che mi sembra introdurre tra le due parti un elemento di eccessivo realismo

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  10. certe volte -lo so- i cambiamenti non sono perché ci sia qualcosa di “sbagliato” in una poesia, ma perché la si conosce da troppo e la si vorrebbe esplorare, forzare diversamente, non scrivendone un’altra, ma modificando l’esistente. è una delle ragioni più inestinguibili di questo rovello interiore.

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  11. è il tempo, infatti, a fare l’opera. ciò che però mi turba, in questo momento, è il voler apportare altre ultime modifiche (il libro l’ho riscritto 3-4 volte quasi per intero) e il non poterlo fare. un libro non esiste mai in una forma conclusa, anche se si vorrebbe trovare pace (almeno) in quella scrittura. ho già 2-3 nuove raccolte quasi ultimate (alcune sono 5 anni che le scrivo) e soffro già i tormenti di quelle: vorrei, almeno qui, trovare un po’ di pace.

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  12. è uno dei due testi della raccolta costruiti per accumulo di detriti: l’altro, ancora più compatto e asfissiante è l’arazzo apocalittico.
    in questo vorrei forse tagliare 5-6 versi, per renderlo ancora più coeso, ma non so a che punto della lavorazione sia il libro, ne ho preso le tracce. siamo a più di un anno di ritardo, chissà quando esattamente uscirà.

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